La storia ebbe inizio con i Gherardi, antica e facoltosa famiglia stabilitasi a Sansepolcro intorno al XIV secolo.
I possedimenti dei Gherardi si estendevano anche nelle terre di Gragnano e di Montedoglio, tra di loro limitrofe, il cui confine, nel 1750, passava convenzionalmente in mezzo alla villa detta “La Castellaccia”, che già a quel tempo aveva la dimensione odierna, dividendola in due uguali metà, una verso il monte e l’altra verso valle.
Un ramo della famiglia dei Gherardi aveva ingrandito il patrimonio attraverso l’arte della mercanzia, che comprendeva la produzione e la vendita della pianta tintoria del guado e la commercializzazione delle stoffe, fino ad arrivare a Roma nello Stato Pontificio.
I primi acquisti, certificati tramite documenti, si hanno con Ippolito di Girolamo (di Baldo di Leonardo di Gherardo di Cristofano) Gherardi di Sansepolcro, che acquistò da Angelo di Pandolfo della Stufa di Firenze due poderi: il podere “del Monte” e quello “della Costa di sopra”, posti nella Comunità di Montedoglio, al prezzo di 2.220 scudi fiorentini.
Il contratto fu rogato il 2 dicembre 1595 da Ser Celio di Jacopo Bagnai, “notaro Borghese”, che il 27 gennaio 1597 rogitò anche il relativo “instrumento di quietanza”, nel quale Angelo della Stufa rilasciò ad Ippolito la quietanza di essere stato pagato interamente dalla Banca dei Signori Rinuccini in Firenze.
Nell’anno 1595 Ippolito comprò da Cesare di Virgilio Bernardini, Cavaliere di Santo Stefano, il podere detto “La Castellaccia”, in quanto situato nell’omonimo vocabolo, per il prezzo di 1.100 scudi fiorentini, con contratto rogato dallo stesso notaio.
Non è specificato se nel podere della Castellaccia rientrasse anche una casa con la torre annessa costruita su di uno scoglio roccioso.
Precedentemente egli aveva acquistato dalla “nobile e onesta” cugina, Donna Bartolomea del fu Bernardino Gherardi di Sansepolcro, il podere detto “La Beriola” per il prezzo di 5.000 scudi, con contratto stilato da Ser Celio di Jacopo Bagnai il 9 novembre 1591.
La casa del podere della Castellaccia, la cui origine si perde nella notte dei tempi, doveva presentarsi come una piccola dimora rurale accorpata ad una delle varie torri di avvistamento ancora visibili nella Villa o Frazione di Gragnano.
Forse l’immobile ebbe questa struttura anche durante il 1500, periodo di trasformazione delle case coloniche in grandi ed artistiche dimore di campagna, rappresentative dell’ascesa della famiglia che ora aveva investito i suoi capitali non più nelle imprese manifatturiere, orami in crisi, ma nella terra.
La casa del podere della Beriola non venne mai eretta a dimora di campagna importante e tuttora possiede la struttura dell’abitazione colonica.
Il figlio primogenito di Ippolito fu Girolamo Gherardi, il quale continuò ad esercitare l’arte della mercanzia, ma, giunto nella maggiore età, decise che i tempi erano maturi per un ulteriore passo di qualità del suo ramo familiare e volle accedere ad un gradino sociale dove si beneficiava di vari onori e privilegi.
Nel 1609 Girolamo fondò una commenda di 4.000 scudi nell’Ordine Militare di Santo Stefano acquisendo il grado di Cavaliere Milite.
Attraverso quest’Ordine religioso –militare la borghesia mercantile, formatasi in uno strato sociale abbastanza basso, acquisiva quella “nobiltà di spada” necessaria per ascendere a pari grado dei veri nobili, i quali oramai vantavano un blasone d’armi più che cinquecentenario.
Sansepolcro, in effetti, era più che altro composto da famiglie appartenenti alla borghesia mercantile, aspiranti a ricoprire cariche onorifiche e di autorità soprattutto nelle altre corti d’Italia, per poi tornare in patria con una nuova veste sociale.
Difatti, i pochi individui che potevano vantare una loro discendenza storica dalla nobiltà di toga o di spada, non avevano un peso politico ed economico tale da far mutare le sorti della città.
Girolamo capì l’importanza di quest’Ordine cavalleresco, grazie al quale i suoi eredi furono finalmente chiamati “nobilhuomini”.
Il fine di questa operazione finanziaria, nonostante l’esborso iniziale si fosse soltanto limitato ad una investimento di 1.000 scudi in Luoghi di Monti di Roma, con la possibilità di rateizzare gli altri 3.000 scudi nel corso di molti anni, consistette nel mutamento di immagine sociale della famiglia.
Innanzitutto, Girolamo cercò di ampliare la dimora in Sansepolcro di Via degli Abbarbagliati (oggi Via Luca Pacioli), comprando alcuni appartamenti confinanti con la propria casa, tutti facenti parte del complesso edificio formato da vari cielo- terra posto tra Via degli Abbarbagliati, Via del Panico (oggi Via Mazzini) e Via S. Bartolomeo, anche se l’odierno palazzo Aloigi Luzzi non si formò in questi anni.
Dopo il 1610, egli commissionò a vari muratori l’ampliamento della casa rurale del podere della Castellaccia e vennero aggiunte altre stanze in tutti e tre i piani.
Al termine dei lavori, sopra il nuovo portone in bugnato di pietra serena, che fungeva da accesso alla parte appena costruita, egli fece porre lo stemma della famiglia Gherardi e la scritta recante l’anno: era il 1614.
Sempre al fine di tramandare la memoria del suo operato, Girolamo fece scrivere il suo nome sullo stipite della finestra posta alla destra del portone principale, nel quale ancora oggi si legge: “Hieronymus Gherardius Eques” (Cavaliere Girolamo Gherardi).
Rispetto alla casa del podere della Beriola, sita sulla pianura della Villa di Gragnano, la nuova dimora del podere della Castellaccia si ergeva maestosa su di un piccolo promontorio, con le fondamenta fissate sulla nuda roccia.
Alla morte di Girolamo avvenuta nel 1641, i suoi figli Giacinto e Francesco litigarono per motivi di divisione del patrimonio ereditario, nonostante entrambi fossero stati nominati eredi per la metà.
Il primogenito Giacinto, succeduto nella commenda paterna di Cavaliere Milite dell’Ordine di S. Stefano, non sentì le ragioni dell’altro e si accaparrò la proprietà sia dell’ampliata dimora di Via degli Abbarbagliati, sia della casa del podere della Castellaccia.
Passato a miglior vita Giacinto nel 1666, il patrimonio rimase indiviso tra il primogenito Cavaliere Antonio Maria Gherardi, il Canonico Girolamo Gherardi ed Antonio.
Nel 1676 Antonio contrasse matrimonio con Felice Niccola, figlia di Pietro Pietramaleschi e di Felice del dott. Remigio Migliorati.
Questo ramo familiare fu molto fortunato poiché riuscì ad essere intestatario di tre assi patrimoniali: quello dei ricchi Pietramaleschi, quello dei Migliorati sul quale dal 1650 gravava il fedecommesso del dott. Remigio con l’obbligo di portare anche il relativo cognome e lo stemma della famiglia, e parte di quello di Gherardi, tra cui era ancora compresa la dimora di campagna del podere della Castellaccia.
Antonio e Felice ebbero molti figli e figlie.
L’8 marzo del 1700 nacque Costanza, la quale il 7 ottobre 1718 andò in sposa a Pietro di Giovan Battista Aloigi da Città di Castello, appartenente ad una delle quaranta famiglie nobili della città pontificia.
Gli stemmi della due famiglie, allora, si fusero in uno raffigurante a sinistra in campo azzurro un leone rampante con in alto un sole (degli Aloigi) ed a destra in campo rosso una testa di cavallo bianca con sopra la croce dei Cavalieri di Santo Stefano (dei Gherardi).
Alla morte di Antonio Gherardi, avvenuta il 30 ottobre dell’anno prima, tra le sue figlie iniziarono le contese ereditarie circa il patrimonio dei Migliorati, che continuarono nei rispettivi figli portanti i cognomi Aloigi e Cantagallina.
Pietro di Giovan Battista Aloigi era intestatario di un buon patrimonio avente vari beni situati tra Città di Castello, Apecchio e Roma.
La riunione di tutti questi cespiti in capo agli Aloigi di Sansepolcro creò l’occasione di alcuni investimenti.
Sicuramente vennero acquistate tutte le case adiacenti a quella primigenia dei Gherardi, che si affacciava in Via del Panico di sotto (oggi Via Mazzini) e faceva angolo con Via San Bartolomeo, ed iniziarono i lavori di ristrutturazione e rifacimento, secondo la moda architettonica, dell’attuale palazzo Aloigi Luzzi, terminati nel 1757.
Anche la dimora di campagna nel podere della Castellaccia venne ampliata di un’altra ala nel corso di un ventennio e fu arricchita con affreschi e grottesche, oltre che di una cappella.
Pietro Aloigi e Costanza Gherardi ebbero tre figli, Antonio, Francesco e Cesare, e due figlie, Cecilia e Nicola Maria morta dopo un mese.
Antonio non solo non si sposò, ma condusse una vita dispendiosa e parassitaria, sempre in lite con gli altri due fratelli per avere il patrimonio dei Migliorati, ora che gli avversari della famiglia Cantagallina si erano estinti senza lasciare discendenti.
Cesare, invece, intraprese la carriera militare insieme a Francesco, ma quest’ultimo riuscì a scappare dall’esercito e preferì seguire, ma in maniera più morigerata, la orme del fratello Antonio.
Difatti Francesco viveva l’agiata vita del proprietario terriero, ammesso a tutte le feste e congressi ai quali intervenivano le sole persone nobili di Sansepolcro, senza molte preoccupazioni, a parte le cause contro il fratello Antonio.
Tra i tanti amori, è probabile che gli capitò di amoreggiare anche con Maria Teresa, figlia di Ranieri Francesco Pichi e di Bernardina Migliorati, più giovane di lui di 39 anni.
Il 17 maggio 1779, forse appena saputo di essere in stato interessante, Francesco e Maria Teresa si sposarono nella chiesa Cattedrale di Sansepolcro e il 22 gennaio del 1780 nacque Maria Costanza, l’ultima erede del patrimonio Aloigi formato dai vari assi ereditari.
Il 23 marzo del 1784, i fratelli Francesco e Antonio Aloigi, cui avevano aggiunto il cognome dei Migliorati essendo divenuti i proprietari del relativo asse patrimoniale, ebbero la facoltà di poter erigere un oratorio presso la loro villa della Castellaccia, e di “trasferirvi gli obblighi annessi e gli arredi sacri della piccola chiesa del Loretino, parimenti di loro proprietà.”
L’oratorio di Loretino era situato nella Sindicheria di S. Niccolò di Sopra ed appartenne al dott. Remigio Migliorati ed alla sua progenie in seguito divenuta Pietramaleschi, poiché Pietro Pietramaleschi sposò Felice figlia del dott. Migliorati ed unica erede in vita.
Nella cappella della villa della Castellaccia fu portato anche il quadro raffigurante la Madonna nera di Loreto, sul quale in basso tuttora capeggia lo stemma dei Pietramaleschi, composto da un’aquila in campo rosso e in basso da figure geometriche quadrate a rilievo.
Le controversie ereditarie tra gli Aloigi terminarono con le morti dei fratelli Cesare ed Antonio, avvenute rispettivamente nel 1783 e nel 1787.
Rimasto unico erede, finalmente intestatario del fedecommesso Migliorati, Francesco venne iscritto il 16 gennaio del 1789 (quasi 6 mesi prima della presa della Bastiglia a Parigi!) nel registro dei Nobili del Granducato di Toscana.
Francesco Aloigi Migliorati morì nel 1793, lasciando la figlia Costanza sua unica erede universale.
Il 13 settembre del 1795, nell’oratorio della villa della Castellaccia, si concluse il matrimonio tra Francesco, figlio di Alessandro Luzzi, altra famiglia importante della città uscita dall’anonimato nel 1600, e Costanza Aloigi di appena 15 anni.
Francesco Luzzi accettò di unire il cognome della sua famiglia a quello della moglie, dato che questo ramo degli Aloigi, intestatario di un grande patrimonio tra beni mobili ed immobili, si sarebbe estinto, ed in cambio portò solo una dote, consistente in alcuni terreni situati nella Villa di S. Martino ed in quella di Fariccio.
I loro numerosi figli prima portarono il cognome di Luzzi Aloigi, ma poi, forse perché la proprietà rimase sempre registrata nell’Estimo catastale sotto il nome di Aloigi, furono chiamati Aloigi Luzzi.
I possedimenti dei Gherardi situati nella Villa di Montedoglio ed in quella di Gragnano furono ereditati soltanto da un figlio di Francesco e di Costanza, ovvero Francesco Aloigi Luzzi, il quale li lasciò per testamento al figlio Agide e quest’ultimo al figlio Saverio, che infine li passò per successione al figlio Lamberto, attuale proprietario dei beni.
Tutte queste informazioni sono state tratte dai documenti appartenenti all’archivio storico privato della famiglia Aloigi Luzzi e dagli Estimi catastali dell’Archivio di Stato di Arezzo